La mediazione ha l’obiettivo generale di disinnescare il perverso dispositivo di azione violenta – reazione violenta. Quando mancano le parole per fare valere le proprie ragioni si ricorre al corpo, all’agito. Riaprire il dialogo e riconoscere i bisogni, i desideri, le aspettative dell’altro e propri, aiuta a evitare l’escalation dei conflitti.
Trasmettendo le basi della mediazione a persone che, per immaturità psicologica, per condizionamenti esterni o per circostanze avverse, sono ricorse a agiti violenti ha l’obiettivo di fare recepire, nella pratica, come il dialogo, il riconoscimento della diversità, l’empatia siano mezzi efficaci per costruire rapporti rispettosi e per rendere più accettabili condizioni in sé limitanti.
Formare alla mediazione persone ristrette è un modo per espletare quella funzione rieducativa che è tra le primarie finalità del sistema- giustizia. Consentendo a chi ha sbagliato di fare pratica, in un contesto come la struttura penitenziaria, di una cultura della collaborazione, dell’ascolto e della reciprocità si rende praticabile un nuovo modo di interagire. Senza, con questa azione, modificare i ruoli e le funzioni di tutta le figure coinvolte a vari livelli gerarchici nella istituzione, necessari a un’organizzazione complessa che ha lo scopo di coniugare la pena e la rieducazione dell’autore di reato.
La mediazione è, difatti, un’esperienza correttiva e trasformativa. Il mediatore è colui che sta in mezzo al conflitto, ma anche colui che medica le ferite che il conflitto ha lasciato nella società. Svolge un ruolo di terzietà tra due confliggenti ai quali offre la possibilità di narrare i fatti che sono all’origine del conflitto e di comporli in una nuova visione, attraverso passaggi definiti e simbolici. La narrazione dà modo sia a chi si sente offeso per il torto subito, sia a chi lo ha commesso di proporre una versione personale del fatto, stabilendo dei nessi tra gli eventi, e dando un nuovo senso alle proprie azioni.
La mediazione non sminuisce gli effetti distruttivi di un reato, ma vuole riportarli entro dimensioni tollerabili per gli attori coinvolti (autore e vittima), prospettando risposte alternative alla vendetta, alla negazione e all’odio ma senza scorciatoie facilmente assolutorie. Ammettere la responsabilità personale e riconoscere la sofferenza procurata è un passo necessario per ricostituire un legame fratturato e per ritornare a sentirsi parte della propria comunità.
Il progetto Il rimedio di mediare ha come contesto di applicazioni gli istituti penitenziari per coinvolgere in un percorso di cambiamento proprio quegli individui che avendo trasgredito le norme sociali si sono trovati ai margini della società civile.
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